Ardengo Soffici Rignano sull'Arno, 1879 - Poggio a Caiano, 1969.

Nasce da una famiglia di agricoltori benestanti e muore a Poggio a Caiano. Questa città, in cui ha risieduto per gran parte della vita, gli ha dedicato un museo. Pittore, scrittore e soprattutto agitatore culturale, “eretico” del futurismo, vicino al fascismo e ai suoi miti fondatori (anche in qualità di giornalista), Soffici è stato un protagonista del fermento intellettuale dei primi decenni del secolo scorso. Verso i tredici anni la famiglia si trasferisce a Firenze. Qui s’iscrive all’Accademia di Belle Arti, poi alla Scuola del Nudo. Le condizioni economiche mutano e interrompe gli studi per lavorare presso lo studio di un avvocato. Non cambiano però le sue passioni: guarda a Fattori e Signorini e già nel 1900 è a Parigi. Vive arrangiandosi, illustra giornali satirici e intanto dipinge paesaggi. Conosce Picasso, Apollinaire, i poeti simbolisti ma anche Papini con il quale, rientrato in Italia nel 1907, stringerà una durevole e tempestosa amicizia. Scrive molto, soprattutto articoli di critica d’arte. In pittura, ammira la costruzione solida e meno atmosferica, rispetto agli altri impressionisti, di Cézanne. Con Papini e Prezzolini fonda la Voce, rivista che fa conoscere in Italia ciò che accade oltre confine. Soffici però, in una recensione, stronca una mostra dei futuristi: il risultato è un’aggressione al caffè di Firenze Le Giubbe Rosse da parte di Boccioni, Marinetti e Carrà, cui l’artista risponderà la sera stessa. Abbandonato l’iniziale sdegno per il Futurismo, con la rivista Lacerba – nata nel 1913 in polemica con Prezzolini e la Voce – si lega invece ai temi propagandati da Marinetti, anarchia espressiva, superomismo, letteratura sperimentale e frammentaria. Partecipa infatti alla storica serata futurista del teatro Costanzi, a Roma, poi promuove la prima mostra futurista a Firenze cui segue la bagarre al Teatro Verdi. Dopo un nuovo soggiorno a Parigi (conosce qui De Chirico e Savinio), parte volontario per la guerra. Sul primo conflitto mondiale lascia una testimonianza in Kobilek (1918) e Ritirata nel Friuli (1919), considerati dalla critica fra i più suggestivi libri di guerra. Negli anni Venti, lo spirito scapigliato è ormai alle sue spalle e professa il Ritorno all’Ordine in sintonia con Valori Plastici e Novecento, con il recupero dei maestri del passato, soprattutto del Quattrocento. Pubblica una monografia su Carlo Carrà (le sue pagine sull’arte sono inoltre dedicate a Medardo Rosso, Giovanni Fattori, Cubismo e Futurismo). Parallelamente alla sua attività di scrittore s’intensificano le sue partecipazioni alle mostre, dalla Biennale di Venezia alla Quadriennale. Nel 1923-24 è a Roma, lavora nella redazione del quotidiano Nuovo paese, organo del partito mussoliniano, divenuto poi Corriere italiano. Politicamente è un fascista convinto e nel ’25 firma il Manifesto degli intellettuali fascisti (siglerà anche il Manifesto della razza del ’38). Dopo l’anno romano, torna a Poggio. Prolifico scrittore, in questi anni pubblica Elegia dell’Ambra, (1927), Periplo dell’arte (1928), Ritratto delle cose di Francia (1934), Marsia e Apollo (1938). Nel 1944 viene fermato dalle forze alleate; rientrato a casa, riprende il lavoro artistico e letterario. Pubblica da Vallecchi Autoritratto di artista italiano nel quadro del suo tempo (1951-1955) e si aggiudica il Premio Marzotto. Presso lo stesso editore cura in sette volumi le sue Opere letterarie. Fra gli eventi della sua vita, l’incontro con Dino Campana: è stato proprio Soffici a perdere il manoscritto dei Canti Orfici che il poeta gli aveva affidato confidando nelle sue conoscenze nell’ambiente intellettuale. Campana l’ha dovuto riscrivere a memoria.