Ottone Rosai Firenze, 1895 - Ivrea, 1957.

Figlio di un artigiano, conseguito il diploma all'Istituto Statale d'Arte frequenta l'Accademia di Belle Arti, da cui viene espulso dopo pochi anni per cattiva condotta. Prosegue pertanto come autodidatta, e in questo periodo sono significativi gli incontri con Giovanni Papini e soprattutto con Ardengo Soffici, che lo avvicina all'arte futurista e al movimento di Marinetti. Da qui traggono ispirazione le sue prime opere (Bottiglia + zantuntun, 1912). Prima del rigore pittorico degli anni venti e trenta, alla fase futurista si alterna un breve periodo cubista (Paesaggio, 1914). Aderendo al futurismo, si arruola come volontario nell'esercito e partecipa alla prima guerra mondiale ricevendo due medaglie di bronzo. Alla fine della guerra, il rientro nella società è difficile e Rosai trova nelle nuove idee del giovane Mussolini l'entusiasmo e lo slancio che cercava per opporsi alla borghesia e al clericalismo che tanto detesta. In questo periodo la sua pittura ritrae persone della sua famiglia, nature morte o figure di anziane tristemente sedute. Nel novembre 1920 tiene la sua prima esposizione personale a Firenze. Nel 1922 la sua vita è segnata dal suicidio di suo padre, annegato in Arno per debiti, è infatti costretto a rilevare la bottega di falegnameria del padre e a diradare la sua attività pittorica. Nel periodo della maturità, Rosai si dedica invece all'osservazione degli umili e alla descrizione di scene di vita quotidiana, improntate al tipico populismo toscano post-futurista, caratterizzata dal ritorno all'ordine, dove a emergere sono volumi, contorni nitidi e colore ricco, si ispira fortemente a Cézanne e nella sua pittura riecheggia il Quattrocento di Masaccio. Fino al 1929 collabora come illustratore ad alcune testate dell'epoca fascista (Il Selvaggio, Il Bargello). La stipula dei Patti Lateranensi è per lui la conferma che lo spirito anticlericale del primo Mussolini è stato tradito e provoca in lui una violenta reazione, che si traduce nella pubblicazione di uno scritto (Per lo svaticanamento dell'Italia) che desta scalpore tra le gerarchie fasciste. Le voci sulla sua omosessualità minacciano di investire il suo lavoro di artista e Rosai viene praticamente costretto a sposare un'amica d'infanzia. I quadri di Ottone Rosai vedono spesso protagonisti umili e pacifici popolani, nascondono un'intima contraddizione: sono infatti la risposta mite e pacifista all'eroica e dannunziana energia vitale inneggiata dai Futuristi. Negli anni trenta il disagio esistenziale di Rosai lo conduce a vivere in luoghi isolati, lontani dalla comunità, e la sua pittura si carica di collera e di pessimismo, ma nel 1932 arriva la sua consacrazione a pittore di primo livello con una personale a Palazzo Ferroni nella sua città. Fanno seguito numerose altre esposizioni in altre città, fra cui Milano, Roma, Venezia, nel 1942 gli viene assegnata la cattedra di pittura all’Accademia di Firenze. Dopo l'8 settembre 1943, Rosai viene fatto oggetto di una brutale aggressione, questa volta da parte degli antifascisti che vedono in lui un sostenitore del regime e ignorano le umiliazioni che lo stesso aveva subito dai gerarchi. Nel 1949-1950, Rosai aderisce al progetto della importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro. Negli anni cinquanta comincia a farsi conoscere in ambito internazionale, partecipando a rassegne in città come Zurigo, Parigi, Londra, Madrid. Un'esposizione organizzata a Firenze girerà poi nei musei di molte città tedesche. A Firenze nel 1954 dipinse e donò gratuitamente una Crocifissione, la quale testimonia il perdurare dell'interesse di Rosai per la tradizione tre-quattrocentesca toscanama negli anni esasperando la propria radice espressionista. Rosai riduce ormai la pittura a un groviglio di segni brutali e adotta una cromia dai toni sordi e cupi, stravolgendo le fisionomie in maschere di un crudo primitivismo. A Venezia, in occasione della Biennale del 1956, viene allestita una grande retrospettiva della sua opera.