Mario Sironi, Sassari, 1885 - Milano, 1961.

Nasce da padre comasco (Enrico Sironi, ingegnere e architetto, che in quel periodo lavorava in Sardegna), e Giulia Villa, fiorentina. Era il secondo di sei figli. La sua formazione era avvenuta a Roma, dove la famiglia si era trasferita l'anno dopo la sua nascita. "Si considerava più che altro romano, e del Romano aveva anche l'accento" ricordava il figlio di Margherita Sarfatti, Amedeo, che l'aveva frequentato a lungo. A Roma, dopo la prematura morte del padre, che lo lascia orfano a soli tredici anni, Sironi compie gli studi tecnici. Nella casa di via di Porta Salaria, non lontano da Villa Borghese, trascorre l'adolescenza, segnata, oltre che dalle suggestioni della Città Eterna, da appassionate letture (Schopenhauer, Nietzsche, Heine, Leopardi, i romanzieri francesi) e dallo studio della musica, soprattutto di Wagner, che suona al pianoforte con la sorella maggiore Cristina, futura concertista. Nel 1902 si iscrive alla facoltà di ingegneria, ma l'anno dopo è colpito da una crisi depressiva, primo sintomo di un disagio esistenziale che lo accompagnerà tutta la vita. "Era un uomo introverso e pieno di complessi: per quanto, credo, ben conscio del suo valore, e certamente convinto dei suoi ideali estetici e artistici, era stranamente sprezzante - almeno in apparenza - verso la sua opera, di cui non si mostrava mai soddisfatto" ricorda ancora Amedeo Sarfatti. Abbandona quindi l'università e, incoraggiato dal giudizio positivo del vecchio scultore Ximenes e del divisionista Discovolo, si dedica alla pittura, frequentando la Scuola Libera del Nudo in via Ripetta e lo studio di Balla. Qui incontra Boccioni (che, nonostante qualche momento di incomprensione, diventa l'amico più caro della sua giovinezza), Severini e altri artisti. Inizia intanto (1905) a eseguire illustrazioni, disegnando tre copertine per "L'Avanti della Domenica". Sempre nel 1905 partecipa per la prima volta a una mostra, presentando due opere (Senza luce e Paesaggio) a una collettiva della Società Amatori e Cultori. I suoi lavori (Madre che cuce, 1905-1906) sono caratterizzati da una pennellata filamentosa, memore del divisionismo, ma esprimono già una vocazione plastica e architettonica. Sironi non dipinge un'immagine "divisa" in linee, ma un mondo di volumi che attraggono a sé le linee. Sempre in questo periodo compie i primi viaggi: nel 1906 a Parigi, dove in quel periodo si trova anche Boccioni; nel 1908 a Erfurt, in Germania, dove ritorna anche nel 1910-1911, ospite dello scultore Tannenbaum. I diari e le lettere di Boccioni ci informano delle ricorrenti crisi depressive di Sironi, che lo portano a chiudersi in casa, senza vedere nessuno, concentrandosi ossessivamente sul disegno. Ci rivelano però anche il suo profondo amore per i classici, proprio mentre i manifesti futuristi incitano a distruggere i musei. "Ha la casa piena di gessi e copia in tutti i sensi per 20, o 25 volte una testa greca!!! Ci disapprova naturalmente" si lamenta Boccioni nell'agosto 1910.